Com’erano i Sassi all’epoca di Rocco Giordano? E cosa pensava di Matera il famoso artigiano dei Cucù?
I Sassi di Rocco Giordano
Rocco Giordano, che aveva visto i Sassi come li vediamo oggi. E che ha visto forse anche quelli del futuro.
A cinque mesi esatti dalla sua scomparsa, voglio raccontare la storia di una persona che si chiama Rocco Giordano. La voglio raccontare perché è una storia che fa parte del percorso che
Matera sta facendo verso il 2019.
Un percorso che l’ha messa al centro dell’attenzione del mondo, e questa attenzione adesso la città deve sapere gestire. Sono domande che ci poniamo dagli anni ’70 o addirittura prima, ma che oggi
sono diventate attualità quotidiana.
Che cosa fare dei Sassi? Trasformarli in un grande albergo diffuso, visto che quello che il mondo ci chiede è di poter dormire qui? La questione è spinosa perché gli affari sono affari e questa città è stata per molto tempo affamata.
Ma torniamo a Rocco Giordano. Chi era Rocco Giordano? Se siete andati nei Sassi, fino a non molto tempo fa potevate trovarlo lì, alla fine di via Bruno Buozzi, quasi all’imbocco di piazza San Pietro Caveoso.
Potevate trovarlo seduto su una sedia davanti al suo negozietto di cucù e fischietti ad acqua, oppure dentro un minuscolo sgabuzzino, appena dietro il negozio, un bazar di idee e tentativi ed esperimenti delle sue
creazioni, un disordine apparente guidato da una logica creativa tutta sua, certamente naïf.
Rocco Giordano era lì dagli anni ’70, quando i Sassi non erano quello che sono oggi.
Erano un posto di frontiera, ci si andava a bucare, o a imboscare, ci vivevano quelli che non potevano permettersi una casa altrove o pochi intellettuali preveggenti.
«Erano un abbandono totale», mi ha detto Rocco Giordano una volta in un’intervista che gli ho fatto per un minuscolo documentario, occasione per la quale l’ho conosciuto un po’ meglio dopo averlo intravisto in qualche situazione perché parente di parenti.
(L’ho coinvolto anche dopo, in un altro documentario alla cui sceneggiatura ho collaborato, e che spero Matera possa vedere presto).
Rocco Giordano non era però uno di quegli intellettuali preveggenti; o meglio: non era affatto un intellettuale, ma preveggente lo è stato eccome.
Era un uomo semplice, con convinzioni forti, frutto di una razionalità estrema, a volte crudele. Ed era un uomo appassionato, appassionatissimo.
È per questo che era diventato preveggente: aveva capito la realtà con la testa e con il cuore. Non aveva studiato, aveva fatto il marinaio, il barbiere e poi il bidello al liceo artistico.
Era stato proprio al liceo artistico che aveva scoperto la passione per l’arte: sbirciando professori e studenti nelle aule a disegnare o scolpire o a fare chissà cos’altro che lui non aveva mai potuto fare, perché era figlio della guerra e chi era figlio della guerra e non aveva molti mezzi certe cose non le poteva nemmeno immaginare.
Dunque, nel tempo libero di quella sua vita da bidello, nei pomeriggi in cui aule e strumenti erano inutilizzati, si era messo lui stesso a sperimentare, mosso dalla curiosità.
Aveva incominciato a lavorare la terracotta e a chiedere consigli a chi ne sapeva più di lui, finché ha pensato che gli piaceva abbastanza da potersi mettere in proprio, lavorare da solo.
Ecco che in questa storia arrivano i Sassi: un posto – come mi ha detto lui stesso – in cui «puoi essere solo, puoi essere creativo».
È andato lì, ha sistemato un forno e si è messo a fare cucù e fischietti. E siccome era una persona razionale ha pensato di farli per quei non tantissimi turisti che allora si aggiravano fra i Sassi.
Lui ci credeva nei Sassi, lui che, andandosene lì a passare interi pomeriggi da solo, aveva il tempo per riuscire a vederli come non li vedevano tutti gli altri, per cui i Sassi erano ormai solo un affaccio cupo dal “belvedere del Liceo” o un ricordo di anni per fortuna lontani.
I suoi parenti gli dicevano che era un pazzo ad andarsene a lavorare nei Sassi: a guardarci da oggi sembra incredibile, ma era ieri che noi materani ci vergognavamo di dove eravamo.
Dagli anni ’70 a oggi, anzi, a cinque mesi fa quando purtroppo è scomparso – il 4 giugno del 2015 -, Rocco Giordano ha continuato a rimanere nei Sassi, vedendo le sue preveggenze avverarsi: la Storia gli ha dato ragione.
Anzi, dopo la pensione, è riuscito a starci sempre di più laggiù, facendo dell’artigianato la sua attività principale. Che gli ha dato anche qualche riconoscimento importante: è finito nel
Museo dei Cuchi di Cesuna, nell’altopiano di Asiago, l’unico in Italia del suo genere, che raccoglie anche esemplari antichissimi, come quelli dell’Afghanistan di 4000 anni fa.
Il gestore del museo, Gianfranco Valente, ha scoperto Rocco Giordano proprio andando a caccia di pezzi da esporre e se ne è portati, nel corso del tempo, più di una cinquantina lassù.
La storia di Rocco Giordano è una storia molto moderna ed europea: assomiglia a tante storie di miei coetanei, di qui fino a Berlino, che hanno deciso di far cambiare direzione al proprio orizzonte, investendo in qualche progetto più personale e più vicino, nelle proprie passioni, anche a rischio di perderci.
Lui lo ha fatto con grande anticipo sui tempi.
Rocco Giordano, senza fare troppa filosofia, ci ha anche indicato qual è la strada che dobbiamo percorrere per ridefinire in modo sano e sostenibile l’identità dei Sassi, per salvarli dal destino in cui l’economia e certa politica vorrebbero portarli, cioè un enorme quartiere dormitorio, spettrale di sera come un parco giochi o un centro commerciale chiusi.
I Sassi devono essere vivi, abitati anche da persone vere, un posto con alimentari e tabacchi e bancomat (non ce n’è nemmeno uno!) e un posto che possa fare da casa alla cultura e alla creatività.
di Roberto Moliterni
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